In un viaggio emozionale tra passato e presente, ci immergiamo nell’intensa melodia di “Su Queste Parole”, un brano pop rock che affonda le sue radici nella mente e nel cuore del cantautore Giuseppe Vorro. La canzone, un’opera intensa e profonda, traccia la mappa di una battaglia personale contro la depressione del presente e una situazione esistenziale insoddisfacente. Attraverso le note incisive del pop rock, dipinge un ritratto di sconforto e stanchezza, proiettando l’ombra di un futuro incerto.
Scritta molti anni fa, quando il cantautore era ancora un ventenne immerso nelle sfide dello studio e nelle pieghe complesse della vita, la canzone conserva intatta la forza delle emozioni vissute in quel momento. Seduto alla scrivania, chitarra in mano, l’artista lasciò fluire la prima strofa, guidato da un impulso creativo carico di sincerità. Due accordi aperti, ripetuti incessantemente, diventarono il mezzo attraverso cui scavare nelle profondità delle sue emozioni, dando vita a una composizione che trascende il tempo.
Oggi, ancora permeato dal ricordo di quella giornata segnata dalla fatica e dallo sconforto, Giuseppe Vorro si apre al mondo con “Su Queste Parole” in un’intervista esclusiva. Attraverso le sue parole, esploreremo il processo creativo dietro la canzone, il suo impatto duraturo e la risonanza che ha acquisito nel corso degli anni.
Qual è stato il momento che ti ha fatto dire “voglio fare musica”?
Da quando ho preso la chitarra in mano per la prima volta e mi ha fatto volare in un’altra dimensione. MI ha subito fatto sentire con i superpoteri e mi acquietava la mente dai pensieri scuri e dall’orizzonte chiuso.
Come nasce una tua canzone? Esiste qualche ritualità dietro l’atto della scrittura?
Nessuna ritualità anche se il momento ha della sacralità ma lo intuisco a posteriori. Il momento scaturisce da una insoddisfazione emotiva che mi porta a cercare una via di uscita e così ecco che la mia fedele chitarra mi porge le corde che accolgo tra le mie dita e nasce come un miracolo la molecola/nucleo di una canzone che poi via via prende forma e sostanza.
È uscito il tuo nuovo singolo. Qual è il messaggio principale che desideri comunicare attraverso questo singolo?
La canzone non è nata per portare su di sé un messaggio da diffondere. Ma si può dire che testimonia il tentativo di aggrapparsi a qualcosa di non fisico che potrebbe rappresentare quello che si è costruito con i giochi durante l’infanzia e sta nel profondo dell’anima. E quest’anima ti può restituire il riflesso di quei giochi nei momenti bui e in cui ci si sente annientati.
Ci racconti il percorso emotivo che ti ha portato alla realizzazione del pezzo?
Bisogna capire cosa si intende per realizzazione. La scrittura è la prima fase di una canzone poi bisogna realizzarla in studio, dargli un vestito, una presentazione estetica. La scrittura e una catarsi che, almeno nella parte di costruzione iniziale sfugge al controllo per fortuna direi. Oggi si cerca di estrapolare tutti i meccanismi di una situazione reale per poi replicarli come se tutto potesse essere riproducibile. Ma così per quanto mi riguarda lo sviluppo viene contenuto, sterilizzato. La produzione del file wave finale della canzone richiede il confronto con altre figure professionali e artistiche e quindi risulta essere il prodotto di un collettivo. E anche questo è stimolante.
Al singolo si accompagna anche un videoclip. Ce ne vuoi parlare?
Dal video traspare la solitudine di un ragazzo in una metropoli che mostra i muscoli con i propri grattacieli e il potere economico che da essi si proietta. Sembra un mondo disabitato, disumano dove contano solo le costruzioni mastodontiche costruite da piccole anime per darsi un tono di superiorità. Questo è quello che in realtà vede quel giovane
Qualche anticipazione per i tuoi prossimi lavori e impegni?
Il prossimo anno è quasi pronto un nuovo lavoro con brani inediti che spaziano su diversi generi e diversi temi. Una fotografia audio più attuale sul mio stato artistico almeno credo.